Viaggi notturni. Intervista a Mezzopalco e Usine Baug

Un dialogo con le due compagnie al termine della performance “Anse”

Nel secondo giorno del festival “Tutta la vita davanti”, abbiamo visto Anse di Mezzopalco/Usine Baug. Lo spettacolo si muove nel viaggio di una notte fatta di distruzione, frammentazione e ricostruzione; in un buio in cui la frenesia della musica si unisce alla poesia dei versi e delle immagini. Abbiamo intervistato le due compagnie con cui abbiamo approfondito alcuni aspetti di un’intensa esperienza visiva e musicale che racconta una sera qualsiasi di un corpo perso nel suo ritorno a casa e nei suoi discorsi interiori.

 

Lo spettacolo prende le mosse da Ansa, un poema scritto da Mezzopalco. Cosa è rimasto di questo testo durante il vostro processo creativo condiviso e che significato assume questa parola che dà il titolo allo spettacolo?
Mezzopalco: Volevamo descrivere in versi e a parole l’immagine delle curve della vita, che negli alti e bassi che attraversa compone delle anse, come una sinusoide. Siamo dunque partiti dal nostro poema e l’abbiamo musicato. Desideravamo, però, trasporlo in una dimensione visiva e su questo aspetto è intervenuta la regia di Usine Baug. Così questi spaccati di vita inquieta si sono moltiplicati: sono diventate anse.

 

Com’è nata la connessione tra una musica così viscerale e atmosfere visive cupe e notturne?
Usine Baug: Mezzopalco ci ha presentato un’immagine ben precisa: il viaggio di una persona nel corso della notte. Il nostro compito è stato quello di tradurre scenicamente questo racconto, cercando di evocare i luoghi attraversati tramite una costruzione visiva coerente e suggestiva. L’estetica che ne è scaturita è volutamente cupa e buia, ma attraversata da momenti di forte contrasto e luminosità. Questi picchi di luce servivano a restituire la dinamica del viaggio notturno, che in realtà si configurava anche come un percorso interiore. Le atmosfere che abbiamo creato sono frutto di uno scambio e di una visione condivisa. Sebbene ciascuno avesse un ruolo specifico – Usine Baug si è occupata della parte visiva, Mezzopalco di quella musicale narrativa – abbiamo lavorato fianco a fianco in sala prove per molto tempo. È stato un processo fluido, dove linguaggi diversi si sono intrecciati in modo naturale, dando vita a un’esperienza creativa davvero collettiva.

 

Com’è avvenuto il processo creativo e come avete lavorato insieme?
U.B.: Abbiamo lavorato in modo molto aperto e sperimentale, in un contesto accogliente come quello della Corte Ospitale di Rubiera (RE). Dopo la finale di Forever Young, siamo stati a lungo in sala prove. Siamo partiti davvero da zero: quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, non c’era ancora nulla di definito, solo tanti oggetti, suggestioni, idee sparse. Ci siamo presi del tempo per sperimentare, per lasciar emergere immagini e movimenti che potessero dialogare con la musica. A volte era la musica ad adattarsi alle immagini — per esempio, venivano allungati o accorciati alcuni passaggi — altre volte era il linguaggio visivo a modellarsi su ciò che accadeva a livello sonoro. È stato un vero viaggio anche quello della creazione.
M.P.: Ci conoscevamo già dal punto di vista artistico, ma è stato molto bello vedere come i nostri metodi si siano fusi in modo naturale. Siamo partiti dal poema e dalla musica, ma nel tempo tutti i linguaggi si sono influenzati a vicenda, ogni volta che ci incontravamo. È stato un processo vivo, in continua trasformazione. Lo spettacolo è fatto di una combinazione di immagini, parole e suoni: ci unisce la volontà collettiva di mescolare linguaggi diverse. Avevamo l’idea che dal buio di certe scene e dai suoni iniziali potesse nascere qualcosa, come se avvenisse una vera e propria creazione del cosmo.

 

Il lavoro che avete presentato contiene, dal punto di vista musicale, un crogiuolo di generi dal trap all’industrial, passando per il genere dadaista dei primi del Novecento. Quali sono state le vostre influenze?
M.P.: Il nostro concept di base è la voce e il modo in cui parole e suoni entrano nei circuiti della consolle. Da lì, inizia il nostro spaziare tra i generi, con un forte pratica anche del beatbox. Ciò che interessa di più sono gli effetti sonori creati in rapporto con la nostra musica. Siamo appassionati di musica minimale e di drum music: abbiamo cominciato a sperimentare sin dal primo giorno di prove. L’intro dello spettacolo è sempre un’improvvisazione in consolle: è un modo per attivare il corpo e la mente ed entrare nel vivo della performance. Pur non essendo mai stati grandi fan della techno, il costante uso della voce ci ha aperto anche questa possibilità di sperimentazione, dandoci modo di mischiare generi e di scoprire quante sfaccettature abbiano.

 

Descrivereste il vostro lavoro più come un viaggio musicale e artistico o un viaggio spirituale?
M.P.: Non lo chiameremmo del tutto un viaggio spirituale, bensì la restituzione di un amore molto profondo tra di noi. Prendiamo poi completamente parte al nostro viaggio artistico come esseri umani: dunque, il confine tra questi due possibilità è molto labile laddove la presenza umana è alla base dell’opera d’arte. Dunque, forse, è un po’ viaggio artistico un po’ spirituale.

 

Come vedete il teatro di oggi? Come immaginate quello del futuro?
M.P.: Penso che il teatro sia uno spazio, come un parco o una casa, un territorio da riempire, da percorrere. Non è un semplice linguaggio già definito. Abbiamo interesse nel continuare a cercare diversi modi per attraversare il luogo del teatro, integrandolo con nuovi aspetti come la tecnologia, puntando alla varietà degli strumenti, per esplorare nuovi spazi.
U.B.: Per noi non ci sono ancora risposte a questa domanda. Sentiamo l’arte, il teatro e la creatività come qualcosa in divenire di cui non vogliamo immaginare il punto di arrivo. Non si tratta di puntare necessariamente a qualcosa di innovativo, ma di stare nel nostro essere artisti anche al di là del dove ci condurrà il nostro percorso.

 

a cura di Lucia Montino, Lorenzo Polletta, Isabel Tesolat

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