Una conversazione con Parini Secondo (Sissj Bassani, Camilla Neri, Martina Piazzi, Francesca Pizzagalli) a margine del loro HIT OUT
HIT OUT è una coreografia all’aperto. Come mai questa scelta e come cambierebbe il lavoro all’interno?
Noi come Parini Secondo nasciamo per fare lavori all’aperto: per noi lo sfondo fa parte dell’estetica del lavoro. Nel 2025 il teatro non può essere immaginato come un luogo neutro: è un contesto sociale, estetico, storico. Quando ci approcciamo a qualcosa ci chiediamo quale sia lo sfondo in cui lo immaginiamo. In realtà di HIT OUT esiste anche una versione per la scatola nera, pensata insieme alla light designer Bianca Peruzzi: qui ci interessava lavorare sulla penombra e sul rapporto ritmico con la luce. All’aperto invece ci siamo concentrate sul rapporto più crudo con un campetto, quello in cui i ragazzi di solito giocano e in cui noi trasformiamo la pratica atletica in pratica artistica. Nel lavoro precedente, Speed, abbiamo ideato una coreografia in cui coinvolgiamo automobili in un parcheggio: in mancanza delle risorse economiche che servirebbero per un noleggio, l’idea che l’auto sia al contempo scenografia e impianto sonoro dà alla coreografia una “comodità produttiva”.
Come avete gestito in fase di scrittura coreografica la sovrapposizione fra mondo della danza e dello sport e la creazione di uno schema basato sulla continua scomposizione della perfezione?
In un certo senso è stata una scelta “furba” poiché, essendo la nostra una compagnia indipendente, dovevamo trovare un modo per lavorare come Parini Secondo anche nei momenti in cui non eravamo insieme. Dato che siamo danzatrici e dobbiamo allenarci, la riflessione sullo sport deriva da una necessità pratica: quella di garantire continuità lavorativa alla nostra compagnia anche quando lavoriamo ad altri progetti.
Nei nostri lavori il punto di partenza è sempre la musica: l’approccio coreografico per noi è ritmico. Questo aspetto ci interessa a livello di coscienza fisica: vorremmo capire come la pratica dell’allenamento, che di fatto per noi è un rituale, possa incoraggiare una riflessione sul ritmo. In questo caso specifico, il salto della corda è estremamente agile – basta averne una nello zaino ed è fatta – ma è anche una pratica atletica basata sulla scansione del tempo, poiché a ogni salto corrisponde un colpo, dunque un feedback sonoro molto chiaro. Il lavoro quindi si può leggere anche a partire dal solo suono e non per forza dalla visione.
Qual è stata l’idea dietro la scelta dei nomi HIT OUT e Parini Secondo?
HIT OUT è stato scelto dal musicista con cui collaboriamo, Bienoise (nome d’arte di Alberto Ricca), basandosi sul duplice significato della parola inglese hit, “colpire” e “pezzo musicale di successo”. La seconda parte del nome invece è semplicemente un’abbreviazione di outside, esterno, per specificare che questa è la variante dello spettacolo immaginata e performata in spazi aperti e pubblici. Il nome del collettivo viene dal fatto che abbiamo tutte quante frequentato il Liceo Parini, diviso in sede principale e succursale, e quest’ultima era diventata per gli studenti il “Parini Secondo”: così abbiamo scelto di ricordare il luogo in cui siamo incontrate e formate.
Sappiamo che avete scritto lo spettacolo a otto mani: come vi siete approcciate a questa scrittura collettiva e perché? E qual è la relazione tra questa scrittura e la sincronia che dovete mantenere fra voi in scena?
Noi scriviamo sempre tutti i nostri lavori in quattro: ciascuna di noi ha un ruolo ben preciso, anche se le idee arrivano da tutte. Qui entra in gioco il concetto di autorialità, che oggi per noi è estremamente sfumato, molto opaco: tutto quello che viene prodotto viene immediatamente ridefinito da chi osserva attraverso la riproduzione digitale, la fotografia, il video, il racconto social. Questo, che in generale rende ancora più labile il confine autoriale, per noi è un punto di forza e non uno svantaggio.
Tuttavia il mondo della danza, e soprattutto quello della produzione giovanile, guarda al quartetto con scetticismo: il sistema non incoraggia a essere in quattro. Nelle nostre coreografie tutto è preciso, studiato nel minimo dettaglio. Lavoriamo molto sull’unisono per far convivere sulla scena le nostre quattro fisicità diverse, le nostre quattro presenze. Abbiamo addirittura una partitura: la chiamiamo così perché è proprio uno schema di coreografia basato sul ritmo e costruito su quattro colonne con quattro colori, ognuno a rappresentare una di noi. Abbiamo dovuto capire quali fossero le possibilità del nostro strumento, la corda, che strumento in realtà non è. Partendo dal suo suono, Alberto ha costruito la partitura immaginando di darla a un percussionista. Nello schema, però, c’è anche spazio per l’errore, per una finestra in cui la precisione della partitura può essere messa in discussione: dopo tutto, non siamo delle macchine.
Come vedete il mondo della danza e del teatro di oggi e come immaginate quelli del futuro?
Bisogna immaginarselo bellissimo! Non c’è dubbio, noi siamo sempre molto ottimiste: siamo in quattro ad affrontare lo stesso problema, da qualche parte si arriverà. Forse è proprio il fatto di fare gruppo che ci aiuta, il supportarsi a vicenda nelle difficoltà, soprattutto in quelle economiche: per noi Parini Secondo, nel mondo della danza di oggi, sono sempre state centrali, mai un tabù e sempre sul tavolo. Stimiamo in modo assoluto chiunque riesca a fare questo lavoro da solo, per noi non sarebbe sostenibile: essendo in tante riusciamo ad affrontare con calma i problemi e risolverli.
Aldrich Della Fuente, Ludovica Leotta, Mattia Tacconi, Carlo Rocchi, Teresa Romanut