Progetto Orlando: rileggere la tradizione per riscrivere la realtà

Progetto Orlando non è solo il titolo dello spettacolo ma anche un gruppo nato da un gruppo di giovani artisti diplomati alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano. Più di venti artisti a cui se ne sono aggiunti altri e altre nel tempo, dando vita a un progetto atipico, fuori dagli schemi, eccezionale.

Lo spazio esterno della Scuola Media Due Giugno di La Spezia, ingombrato da barili, scale, scatole e pedane viene attraversato da una donna coi rollerblade: si aggira per l’ambientazione desolata e osserva i molti spettatori che le sono seduti davanti.

«In principio c’è solo una fanciulla che fugge insieme al suo cavallo»: con queste parole prende avvio Progetto Orlando, nome dello spettacolo conclusivo dell’edizione di quest’anno del festival Tutta la vita davanti, ma anche del gruppo che lo ha messo in scena, insieme al Coro Fabrizio De André. Al centro di questo lavoro si colloca una rivisitazione dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Angelica (Emma Bolcato) è la prima a prendere parola, a cercare un suo posto nella storia. Neanche il tempo di finire il suo discorso che dal fondo della scena appaiono i valorosi paladini di Francia vestiti con abiti punk e magliette attillate. Intrepidi, caotici e disordinati si preparano alla guerra contro i Saraceni. Progetto Orlando attua una progressiva e sistematica decostruzione delle grandi parole del poema: perché fare la guerra? A cosa può portare il continuo e vicendevole massacro tra popoli? Progressivamente viene messa a nudo la cruda realtà di una storia inventata: altro che soldati nobili e coraggiosi, nelle fila dell’esercito cristiano e saraceno prendono posto numerosi disertori; il nemico non è poi così mostruoso e disumano, ma è pur sempre necessario percepirlo così, è necessario costruire intorno agli eventi una narrazione che permetta di concepire la morte e la devastazione dell’altro come unica forma d’azione, è importante quindi considerare la propria posizione come coincidente con la giustizia. E tutto questo, però, a quale scopo? Una volta messa da parte ogni retorica, una volta che è stata rivelata la menzogna che si cela dietro ai giusti principi di distruzione del nemico, la nobile battaglia si trasforma in una fluttuazione nell’anarchia, nel movimento privo di una ragione e di una meta. Angelica è l’unica che tenta di trovare un po’ di pace per sé, mentre Orlando brancola nello spazio di una realtà post-apocalittica.

La concatenazione di canti, eventi e filoni narrativi strutturati e ideati da Ludovico Ariosto lascia il posto a un susseguirsi di fatti più casuale e scomposto, continuamente interrotto da chi vuole dire la propria. Lo spettacolo risulta quindi diviso in due parti: nella prima i personaggi sembrano accettare il loro ruolo e raccontano apertamente al pubblico la loro funzione che ricoprono all’interno del poema; man mano la messinscena prosegue, però, gli attori/paladini tentano di ribellarsi, sentendosi scomodi nella parte che sono obbligati a recitare all’interno dell’Orlando Furioso, rivendicando invece un desiderio di fuoriuscita da un destino a loro assegnato.

Sempre più prevale l’anarchia. Il senno, ma non solo quello di Orlando, sembra essere perso, l’unica soluzione è trovarlo, sperando che così possano ritrovarlo tutti. Ma è davvero questo quello che vogliono?

Non abbiamo il tempo di rifletterci davvero: il racconto deve concludersi, i personaggi devono rientrare nell’ordine delle cose. Sembra che tutto sia destinato a ripetersi inesorabilmente, ma il desiderio di libertà è stato ormai vissuto e non può essere cancellato.

 

Carlo Rocchi

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